Di seguito l’intervento di Umberto Balin, Presidente del C.d.A. di Integrè SPA STP Società Benefit, su uno dei temi più importanti e delicati ma, nel contempo, meno considerati, delle dinamiche aziendali: il passaggio generazionale.

 

Inizio con questo intervento una serie di articoli, volutamente con linguaggio da “non iniziati”, sulla tematica del passaggio generazionale. Prima intercetteremo i problemi, poi cercheremo di darvi una soluzione.

Da almeno vent’anni penso che la principale causa di mortalità dell’impresa italiana sia la mancata pianificazione del passaggio generazionale. Negli ultimi due anni si sono uniti anche Covid e guerra in Ucraina, ma sullo sfondo resta il male cronico della mancata tempestiva successione tra genitori e figli. Secondo una ricerca, riportata su Il Sole 24 ore del 10/7/2019, meno del 30% delle aziende supera la terza generazione. In Italia solo il 14% delle aziende ha un piano formalizzato di successione. Si badi che questa inchiesta è stata condotta sui CEO, un campione di illuminati; non si parla dell’intera famiglia. Un altro 25% dei CEO dice di avere un piano informale, il 61% non ha alcun programma per la successione.

Lo stesso articolo ci rende noto che le aziende italiane con fatturato attorno ai 20 milioni di euro sono circa 11 mila. Nel periodo 2001-2014 solo il 2% di esse ha effettuato il passaggio generazionale; quindi, nella quasi totalità queste aziende si trovano oggi dinnanzi ad un rischio gravissimo. In vero boom economico in Italia è stato negli anni 60 e 70. La nascita di molte aziende data a quegli anni. Gli startupper di quegli anni oggi hanno dai 60 agli 80 anni di età, che non sono pochi per un capo azienda, ma il vero male è che chi era l’uomo chiave nel 2000, di solito lo è ancora. I Clienti cinquantenni che incontro ogni giorno mi dicono che vogliono lavorare ancora soli 10 anni. La stessa frase però me la ripetono anche quando compiono i 60 e poi i 70 anni! Quando ne hanno 80 mi dicono che lavoreranno ancora “soli” 5 anni. È una cosa assolutamente umana e comprensibile, che ognuno può verificare sulla propria pelle. A mano a mano che si va avanti con l’età i nostri coetanei lo fanno con noi, eppure ci sembrano ancora giovani e ci sentiamo tutti in forza, grazie anche agli avanzamenti della medicina ed al migliorato stile di vita.

Resta il fatto che il 40-50% delle aziende italiane dovrà affrontare il proprio passaggio generazionale nei prossimi 10 anni.

I principali problemi che mi vengono presentati, usualmente con grande ritardo, sono:

  • l’esistenza già palese di conflitti tra le generazioni, con padri contro figli, figli contro coniugi di secondo letto, ecc.;
  • l’esistenza di conflitti interni alla generazione dei figli, tra i fratelli che hanno lavorato da sempre in azienda e quelli che hanno studiato a lungo o fatto la bella vita, tra figli di diversi matrimoni, per l’intervento di generi e nuore che notoriamente costituiscono un elemento di amplificazione della divaricazione, ecc.;
  • oltre all’esistenza di ampie divergenze sui valori, la perenne divaricazione tra le formiche di ieri e le cicale di oggi, o anche solo tra i figli prudenti ed affezionati al mattone ed alla rendita finanziaria e quelli intraprendenti ed innamorati degli investimenti in macchinari per lo sviluppo. Il tutto con l’aggravante che i genitori sono gli ultimi ad accorgersi delle diverse nature dei figli, li vorrebbero tutti a specchio con sé stessi.

Il genitore saggio, se non trovasse un nuovo leader interno alla famiglia, che lo sostituisca, dovrebbe per tempo trovare un manager esterno, che funga da guida, ma anche da oliata frizione. Se non ci riesce, è meglio che si trovi un socio esterno che svolga queste funzioni.

Ma la introduzione di un esterno deve essere portata a termine per tempo, fino a che il genitore/leader può ancora esercitare anche una moral suasion sui propri successori, affinché questi accettino compromessi non solo su basi legali, ma soprattutto su basi di comportamento etologicamente imposto. Se il pater familias non si impone in vita, post scomparsa del vecchio leader, ogni manager viene bruciato dalle lotte interne tra i vari figli o dalle fazioni, mentre l’entrata del socio esterno ed equilibratore finisce per essere ostacolata da ricatti su prezzi o condizioni di alcuni degli eredi.

C’è però anche un altro risvolto di questa equazione. Un manager, o un socio bravi li riesco a trovare solo se il vecchio management ha intessuto in modo chiaro un piano di impresa credibile ed ha messo in atto un sistema di governance familiare efficiente. Se torniamo all’articolo citato all’incipit di questo intervento, in Italia solo poco più del 30% delle aziende ha un patto parasociale che regola la vita familiare.

Non tutto di un’azienda può essere nella testa dell’imprenditore storico, che poi magari scompare repentinamente, lasciando l’azienda priva di un vero e spendibile futuro.

La settimana prossima vedremo come possiamo porre rimedio a tutti questo grattacapi.